Ieri ( 17 ottobre 2012), dopo aver saltato l’edizione 2011, sono ritornato allo SMAU.
L’evento SMAU, così come l’ho visto io, sembra la auto-celebrazione in assoluto dei “markettari” (modo dispregiativo con cui vengono definiti gli addetti marketing) delle varie aziende IT, in un evento che fa della “autoreferenzialità” un vessillo.
Persone impomatate di mezza età, vestite con la classica eleganza fotocopiata, che, con fare da esperto e con una improbabile forma linguistica ibrida (25% Italiano, 25% Inglese e il restante composto da fesserie), cercano di spiegare cose che evidentemente non capiscono. Li si può riconoscere per il caratteristico atteggiamento evasivo quando sottoposti ad una domanda un minimo più impegnativa; entrano nel panico e cercano con lo sguardo l’unica persona dello “stand” che non è vestita come un manichino, che chiamano “il tecnico” (o come lo definisco io, l’unico che fa un lavoro vero).
In ogni dove si sentono ripetere come dei mantra le parole “startup”, “social”, “app”, “innovation”, “business”, “enterprise”, “cloud”, ma in sostanza sembrava di sentire le stesse frasi re-impastate e preimpostate per vendere qualsivoglia prodotto. In un susseguirsi di banalità e grandi proclami, capita talvolta di trovare delle piacevoli eccezioni, come ad esempio ragazzi con qualche idea originale da presentare ( alcune delle quali abbastanza stravaganti) o piccole aziende che cercano di proporre delle cose concrete e prodotti “spendibili”, senza cercare di vendere massimi sistemi. Queste ultime due categorie sono generalmente relegate ai margini più estremi della fiera.
A completare il quadro della situazione, vi è una continua richiesta di informazioni personali, talvolta in modo chiaro e cortese, talvolta in modo aggressivo ed impersonale (come ad esempio la lettura del codice a barre del proprio badge, che da tanto l’impressione di essere trattato come un prodotto del supermercato)
In compenso, almeno negli stand più importanti, si trovano i gadget (sempre meno e di minor qualità) e tante “brochure”, volantini, libretti e cataloghi, che, nella maggior parte dei casi, vengono rifilati a persone disinteressate. Di fatto l’uso massiccio di carta (vedere foto.) in un evento che dovrebbe essere ad alto contenuto “tecnologico” da già una misura approssimativa di quali siano i reali target di questo evento. Inoltre, essendo carta “plastificata”, non la si può neanche destinare ad “altri usi”.
Ma questo è niente a confronto del fatto che, nell’appuntamento fieristico dedicato all’ICT, non era disponibile ne per i visitatori, ne per gli espositori, alcun tipo di connettività WiFi (roba che è disponibile anche nell’ultimo dei McDonalds) e per gli espositori sarebbe stata disponibile una connettività cablata a pagamento (300€ circa). Si può solo immaginare quanto faccia sorridere uno che parla di “cloud computing” e non abbia accesso alla rete per mostrare i suoi applicativi.
Secondo me in Italia c’è veramente bisogno di un appuntamento fieristico dove tornare a parlare di tecnologia, di prodotti, di aziende e di iniziative, ma di sicuro questo non è lo SMAU. Se uno volta lo è stato (almeno stando a quanto raccontano i miei colleghi più anziani), ora non lo è più di certo.
In definitiva, una perdita di tempo, ma questa, è solo la mia opinione.